Mairav Zonszein 1 giugno, 2020
nella foto proteste per George Floyd in Washington DC. Lafayette Square.30 maggio, 2020. (Rosa Pineda/Wikimedia Commons)
L’omicidio di George Floyd e le conseguenti proteste rimandano ad eventi simili accaduti in Israele-Palestina. Sebbene ci siano differenze, i meccanismi di repressione operano nello stesso modo.
L’ennesimo caso in America di un poliziotto bianco che uccide un uomo nero. Dopo due mesi di luoghi pubblici deserti a causa del Coronavirus – una malattia che ha ucciso principalmente persone di colore nel paese – le strade sono ora piene di persone che, rischiando la vita e la propria sicurezza, chiedono giustizia per George Floyd.
L’omicidio di Floyd avvenuto a Minneapolis è dolorosamente familiare. E’ avvenuto solo due mesi dopo l’omicidio di Breonna Taylor in Louisville. Poche settimane dopo che furono divulgate prove fotografiche dell’omicidio di Ahmaud Arbery in Georgia. Dopo Eric Garner, Michael Brown, Philando Castille e Tamir Rice, e la lista va avanti.
Però questa volta sembra un momento di svolta. Proteste, sirene, incendi, gas lacrimogeni e coprifuochi hanno invaso le città di New York, Minneapolis, Oakland, Atlanta, Portland, Louisville, Washington D.C. Le forze dell’ordine hanno arrestato almeno 1,400 persone in 17 città e le autorità hanno introdotto un coprifuoco in 39 città di 21 stati diversi. Sembra essere arrivata l’Intifada americana.
Mentre osservo tutto accadere, non posso far altro che notare le somiglianze tra l’omicidio di George Floyd e gli innumerevoli omicidi di palestinesi da parte di forze dell’ordine israeliane. Lo scrivo in quanto persona nè palestinese nè nera, ma in quanto giornalista e attivista per la solidarietà nei confronti di entrambe le comunità, avendo anche assistito a eventi simili in prima persona.
Nonostante ci siano differenze sostanziali per quanto riguarda i paesi e le circostanze, i meccanismi di repressione attuati dallo stato operano nello stesso modo. C’è un senso di “noi” e “loro”, di occupante e occupato. Se sei un palestinese sotto il controllo israeliano, sei un bersaglio. Se sei nero in America, sei un bersaglio. E se provi ad alzare la voce, sei picchiato e messo a terra.

In entrambi i paesi, come in tanti altri, lo Stato esercita violenza e repressione per conservare il suo potere, che si basa sull’ineguaglianza sociale. Quelli che in America difendono la comunità nera, quelli che in Israele difendono i palestinesi, si ritrovano a doversi confrontare con forze armate.
La somiglianza è diventata ancora più evidente la scorsa settimana quando, poche settimane dopo l’omicidio di Floyd, un 32nne palestinese affetto da autismo, Iyad Hallaq, è stato ucciso nella città vecchia di Gerusalemme da un poliziotto israeliano. I poliziotti credevano avesse una pistola, ma non ne aveva nessuna. Quando gli hanno chiesto di fermarsi, Hallaq per la paura è scappato e si è nascosto dietro un cassonetto. Uno dei poliziotti gli ha sparato più volte, nonostante il suo comandante gli avesse detto di smetterla.
Gli omicidi della scorsa settimana, come tanti altri, denotano quanto i due paesi siano simili in fatto di violenza e discriminazione. Qui ci sono solo alcune di quelle somiglianze.
L’importanza della fotocamera
L’omicidio di George Floyd è stato ripreso con il cellulare da diverse angolazioni. Questo è il motivo principale per cui la notizia si è diffusa così velocemente e anche perché le tesi che negavano fosse successo sono subito crollate. Anche i palestinesi sono anni che documentano le violazioni dei diritti umani che Israele sta attuando, utilizzando il materiale fotografico per richiedere giustizia e richiamare l’attenzione.
L’omicidio di Floyd mi ha ricordato particolarmente quando, nel marzo 2016, il soldato israeliano Elor Azaria uccise Abdel Fattah Al-Sharif, un palestinese residente nella città occupata di Hebron.
Nonostante le circostanze fossero differenti – Al-Sharif aveva infatti tentato di accoltellare il soldato proprio come Floyd, fu immobilizzato per terra, reso inoffensivo, mentre Azaria lo fucilava con un omicidio extragiudiziale.

Azaria fu giudicato una mela marcia da alcuni israeliani, ma altri lo difesero. Dopo esser stato per nove mesi in prigione, Azaria fu rilasciato e accolto da molti come un eroe nazionale. Nonostante il pubblico tumulto, le forze dell’ordine israeliane non cambiarono il loro comportamento in Cis-Giordania, proprio come la polizia americana non sta cambiando il proprio.
Però, se questo avvenimento non fosse stato ripreso, molte indagini su poliziotti e soldati non sarebbero avvenute. Questo è il motivo per cui Christian Cooper, un uomo afro-americano amante del bird watching, ha istintivamente registrato il momento in cui, dopo aver chiesto ad una donna bianca di mettere il guinzaglio al suo cane, questa ha chiamato la polizia, dicendo che un uomo nero la stava minacciando. Questo è il motivo per cui molti palestinesi in Cisgiordania filmano, con i propri cellulari e telecamere offerte da associazioni per i diritti umani, il momento in cui si trovano a contatto con le forze dell’ordine israeliane o coloni ebrei.
La narrazione intorno alla violenza
Se non fosse stato per le proteste scoppiate a Minneapolis, che hanno visto un Commissariato di polizia in fiamme, David Chauvin (l’uccisore di Floyd) ora non sarebbe accusato di omicidio di terzo grado.
Però, siccome luoghi pubblici stanno venendo distrutti e vandalizzati, i media si schierano contro i manifestanti, affermando che le loro azioni sono controproducenti. Un editoriale del New York Times a opera di Ross Douthat diceva che “ciò che le proteste non violente guadagnano, le proteste violente lo perdono.”

Tamika Mallory, una attivista nera molto famosa che aderisce anche al movimento di solidarietà per la Palestina, ha risposto: “Non dateci dei saccheggiatori. Voi siete i saccheggiatori. L’America ha saccheggiato le persone di colore. L’America ha saccheggiato i Nativi Americani. Il saccheggio è ciò che fate, l’abbiamo imparato da voi. Abbiamo imparato la violenza da voi… Quindi se volete che ci comportiamo meglio, dannazione, fatelo voi.”
La stessa dinamica sui media esiste in Israele e in Palestina. Per decenni Israele ha saccheggiato la Palestina dei suoi territori e dei suoi abitanti, privandoli dei loro diritti fondamentali, incarcerandoli, distruggendo le loro case – un sistema organizzato di violenza da parte dello Stato.
Ma quando i palestinesi protestano e rispondono alla violenza con la violenza, sono incolpati di essere nel torto, di essere dei “terroristi”. Improvvisamente, tutti si dimenticano della violenza da parte dello Stato.
Nel frattempo, la gran maggioranza dei palestinesi ha continuato a protestare pacificamente, anche attraverso il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni. Anche il movimento Black Lives Matter ha fatto questo genere di proteste dall’episodio di Ferguson nel 2014, come quando l’atleta di colore Colin Kaepernick si è inginocchiato durante l’inno nazionale per protestare contro il razzismo e le violenze – un gesto semplice che fu comunque accolto con critiche e punizioni. Nessuna forma di protesta va mai bene.
Doppio standard per le proteste
Il doppio standard con cui la polizia tratta i manifestanti bianchi e quelli neri si nota. Quando proteste bianche, di destra radicale, anti-lockdown sono avvenute in Michigan, con migliaia di manifestanti armati che assaltavano il palazzo dello Stato, la polizia non ha lanciato gas lacrimogeni e non ha arrestato nessuno, non hanno neanche tirato fuori i manganelli.

Invece, durante le proteste della scorsa settimana, i sindaci hanno imposto coprifuochi, e chiamata la guardia nazionale. Carri armati girano nei quartieri, la polizia spara, a Minneapolis e in altre città, pallottole di gomma, granate stordenti, gas lacrimogeni. Anche i giornalisti hanno riportato almeno 60 incidenti dove sono stati colpiti dalla polizia, nonostante fossero identificabili dall’elmetto della stampa, da una pettorina e un documento. Una fotografa, Linda Tirado, a Minneapolis ha perso l’ occhio sinistro per una pallottola di gomma.
Tutte queste pratiche sono un pilastro dell’occupazione israeliana, tattiche tirate fuori dal manuale di occupazione israeliano. Il coprifuoco di Los Angeles sembra un ordine di occupazione militare da parte delle forze dell’ordine israeliane. Gli arresti e gli attacchi ai giornalisti durante il loro lavoro, cosa che non accade frequentemente negli Stati Uniti, sono una pratica normale in Palestina.
La risposta contraddittoria dello Stato è vistosa anche in Palestina. Quando i palestinesi protestano sono spesso picchiati, arrestati, uccisi e imprigionati. Gli ebrei israeliani invece possono protestare abbastanza liberamente, rischiando raramente l’arresto o la repressione – l’unica eccezione sono gli ebrei etiopi che sono stati più volte maltrattati dalla polizia quanto manifestavano contro la discriminazione statale.
Gli Stati Uniti di certo non hanno imparato tutti i loro metodi repressivi da Israele ma ci sono molte connessioni dirette. Negli anni recenti, le forze dell’ordine americane sono state addestrate in Israele in programmi di scambio sponsorizzati da organizzazioni come l’Anti Defamation League, che si occupa di organizzare tattiche anti-terrorismo per l’esercito israeliano. Associazioni come Jewish Voice for Peace hanno organizzato campagne per mettere fine a questo tipo di addestramento proprio perché promuovevano la mentalità e i modi di una forza occupante.

L’ipocrisia delle organizzazioni che sponsorizzano questi scambi fra polizie è sorprendente. Il CEO dell’Anti Defamation League, Jonathan Greenblatt, ha pubblicato un articolo di solidarietà per la comunità nera dopo l’omicidio di Floyd, dove sosteneva che erano il bersaglio di un “sistema razzista e ingiusto”. Greenblatt, che commenta spesso le politiche israeliane, non ha commentato allo stesso modo l’omicidio di Hallaq, non ha definito Israele come un “sistema razzista e ingiusto”.
Impunità militare e di polizia
Il dipartimento di polizia di Minneapolis è famoso per rifiutarsi di espellere poliziotti violenti o di attuare riforme; colui che ha ucciso Floyd, David Chauvin, aveva 18 reclami contro di lui. A New York – dove poliziotti hanno assalito persone di colore durante la pandemia -in quattro anni sono stati fatti circa 2500 reclami contro i poliziotti, ma sono stati tutti invalidati.
Anche i poliziotti israeliani sono raramente processati per aver commesso violenza contro un palestinese. Per esempio, durante la Great March Of Return a Gaza nel marzo 2018, un solo soldato israeliano è stato processato per aver sparato e ucciso un bambino disarmato durante la protesta, e gli è stato dato un solo mese di prigione.
Altri soldati che hanno sparato gas lacrimogeni, proiettili veri e di gomma durante le proteste in Cisgiordania, raramente sono stati processati. Il soldato che uccise Bassem Abu Rahmeh lanciandogli una bomba di gas lacrimogeno in pieno petto nel 2009 non fu mai processato. Dieci anni dopo, ancora nessuno è stato considerato responsabile per la sua morte.
Per ora, George Floyd sembra non esser destinato alla fine di Abu Rahmeh poichè il suo assassino, Chauvin, dovrà essere sottoposto a processo. Ma non c’è garanzia che Chauvin otterrà la pena che si merita, o che altri poliziotti smetteranno di commettere violenza in questo modo. Fino ad allora, l’America vedrà ancora molte rivolte.
Mairav Zonszein è una giornalista e redattrice che scrive di Israele-Palestina e del suo ruolo nella politica degli Stati Uniti. Pubblica su The Guardian, The New York Times, The Washington Post, The New York Review of Books, The Intercept, VICE News, Foreign Policy e molti altri.
Traduzione Caterina Pellegrino da https://www.972mag.com/george-floyd-us-israel-occupying-power/
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