
Poesia di Timothy McCord*
Foto di Mahmoud Ajjour
Dall’alto della valle, Doha guardava in basso
sul suo antico uliveto,
cullato nella fertile mezzaluna,
non lontano da Nablus;
orgogliosi dei bei rami: il loro simbolismo silenzioso.
Le sue mani una volta morbide nodose con l’età,
come i tronchi contorti degli alberi secolari
lei così amorevolmente accudiva.
Ma vicino al suo boschetto – troppo vicino – molto
diverso tipo di coltura stava scavando le sue radici
nel suolo arrugginito di sangue,
attingendo la bontà dalla terra,
avido di più – troppo avido.
Doha era in ansia, preoccupata per il suo raccolto
potrebbe portare, timoroso di uno strano
e frutti molto più amari.
Di notte, si chiedeva spesso
come si era arrivati a questo: un popolo e la sua cultura
lentamente ma costantemente essere spazzato via,
sfollati, cacciati dalla loro terra –
e mi chiedevo per quanto tempo
altri potrebbero continuare a camminare, ciechi
all’ingiustizia, insensibile alle voci
che non sarebbe mai stato messo a tacere.
Poi venne il giorno che Doha aveva temuto.
Si è svegliata con un rantolo di morte
risuona nelle sue orecchie
e non potevo che guardare e piangere,
le lacrime pungenti che le scendono lungo le guance,
come la storia è stata sradicata,
lasciando le ossa di un paese distrutto,
ripulito e messo a nudo,
sotto i suoi occhi ardenti.
(google translator, dall’inglese)















(Tutte le foto: Mahmoud Ajjour, The Palestine Chronicle)
-* Timothy McCord ha una passione per la scrittura di poesie. Vive in Francia, dove ha insegnato inglese per molti anni. Timothy è nato e cresciuto in Gran Bretagna, dove divenne politicamente attivo attraverso il suo coinvolgimento nel movimento anti-apartheid. Ha contribuito con questa poesia a The Palestine Chronicle.
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