I profughi greci fuggiti in Medio Oriente nella seconda guerra mondiale
Di Nidale Abou Mrad
BBC Arabic Pubblicato 20 giugno 2016

L’afflusso di oltre un milione di rifugiati e migranti nelle isole greche nell’ultimo anno ha suscitato ricordi difficili per un gruppo in diminuzione che ha seguito lo stesso percorso durante la seconda guerra mondiale, ma al contrario.
Mentre le truppe tedesche e italiane occupavano la Grecia, decine di migliaia di persone sono fuggite via mare verso i campi profughi in Medio Oriente.
Alla fine della guerra, cominciarono a tornare a casa. Molti sono tornati sani e salvi, ma per alcuni il viaggio si è concluso in tragedia.
“Un evento come questo è difficile da dimenticare”, afferma Eleni Karavelatzi. “Ti lascia segnato da cicatrici e ti amareggia per sempre.”

Disastro per i rifugiati che tornano sulla nave britannica

Eleni Karavelatzi aveva 12 mesi quando nel 1942 la sua famiglia fuggì dall’occupazione nazista di Kastellorizo, un’isola greca a 2 km dalla costa turca.
Navigarono prima verso Cipro e poi verso un campo profughi a Gaza noto come El Nuseirat. Vi rimasero fino alla fine della guerra.
Nel settembre 1945, una nave britannica, la SS Empire Patrol, lasciò la città egiziana di Port Said trasportando la famiglia di Eleni e altri 500 profughi greci.
In poche ore a bordo scoppiò un incendio. Morirono 33 passeggeri, di cui 14 bambini.
Dal suo giardino a Kastelorizo, Eleni ora può vedere la nave dell’agenzia di frontiera dell’UE alla ricerca di nuovi migranti e ricorda quello che è successo nel 1945.
“I miei genitori mi hanno detto che ero stata legata con una corda e calata su una zattera. Ma mentre mi stavano calando, mio padre si è accorto che era pieno e mi riportato indietro indietro. Appena sono stata sollevata, una donna è saltata sul battello. Si è capovolto e tutti i bambini sono annegati”.
Tra le vittime ci sono i tre cugini di Eleni, i cui nomi sono scolpiti su un monumento poco distante da dove abita.

A est del monumento vive l’unica altra sopravvissuta di Kastellorizo, Maria Chroni, che vive con sua nipote.
Maria Chroni, nata nel 1937, si è aggrappata a un relitto per sopravvivere.
“Mi sono ritrovata in mare aggrappata a un’asse di legno.”
“Non ricordo come sia successo. So solo che sono rimasta in questa posizione per 10 ore. Poi mio padre mi ha salvato e mi ha fatto salire sulla barca carbonizzata”.



Da Aleppo all’Egitto e oltre
Altri profughi greci erano fuggiti in Siria dall’occupazione nazista. Provenivano principalmente dall’isola di Chios, a pochi chilometri dalla costa turca.
“I tedeschi erano qui e noi avevamo fame. Avevo tre anni allora”, ricorda Marianthi Andreadi. “Così siamo partiti illegalmente per la Turchia e da lì abbiamo preso il treno per il campo di Al Nayrab ad Aleppo (Siria).”
Marianthi ricorda alcuni dei volti che si sono distinti nel suo viaggio. “Ero circondata da donne anziane. E c’è stato un momento che mi è rimasto impresso quando eravamo al confine turco e la guardia urlava ‘Gel Burda! Gel Burda!’ (Vieni qui).”
“Siamo scappati in fretta. Sono caduta. E alla fine ci ha lasciato andare. Ma non l’ho mai dimenticato.”

Gli archivi greci rivelano che il campo di Al Nayrab era meno un insediamento permanente che un punto di incontro, afferma Iakovos Michailidis, professore di storia all’Università Aristotele di Salonicco. “Le persone sono state portate qui per brevi periodi di tempo prima di essere inviate in varie parti del Medio Oriente, o addirittura in Africa”.
Ioannis Stekas viaggiò prima in Medio Oriente e poi in Africa.
Spiega come suo padre ha venduto le loro proprietà per mandare lui e suo fratello all’estero con la madre, Chrisanthi.

“Aveva intenzione di seguirci con mia sorella di 10 anni. Ma poco dopo i tedeschi hanno vietato la migrazione verso la Turchia”.
Nel suo diario, scritto da Ioannis, sua madre scrive: “Siamo andati a Cesme (in Turchia) e ci siamo rimasti un mese, poi ci siamo diretti a Izmir, prima di viaggiare per tre giorni in treno fino ad Aleppo”. Il fratello maggiore di Ioannis, Kostas, fu a quel punto arruolato nell’esercito dagli Alleati.
Ioannis, di sei anni, ha proseguito con sua madre il lungo viaggio attraverso l’Egitto fino a Dar es Salaam, sulla costa della Tanzania, prima di proseguire via terra fino a Elisabethville, ora Lubumbashi nella Repubblica Democratica del Congo.
“Dopo 40 giorni siamo partiti da Aleppo in treno e in due giorni siamo arrivati in Egitto, al Canale di Suez”, racconta il diario di Ioannis. “Siamo stati lì per un po’ in tenda.”
“Dopo l’Egitto abbiamo preso una nave da carico e abbiamo attraversato il Mar Rosso fino ad Aden, una colonia britannica. Siamo rimasti due giorni all’interno della nave mentre stavano portando scorte di cibo per il resto del viaggio.
“Quando abbiamo lasciato Aden, c’erano mongolfiere per impedire ai nemici di bombardare i civili. Nessuno sapeva dove ci stessero portando. Dopo un viaggio di 10 giorni siamo arrivati a Dar Es Salaam”.

La storia di Stamatis

Stamatis Michaliades, aveva solo sei anni quando fuggì dalla carestia durante l’occupazione tedesca di Chios nel 1942.
Partì con suo padre e suo fratello mentre altri della famiglia rimasero sull’isola. I ragazzi e il loro padre sono passati in Turchia e da lì al campo profughi di Moses Wells nel deserto egiziano, dove hanno aspettato la fine della guerra.


Passato e presente
Mentre i rifugiati tornati dalla Grecia sentono un legame con la nuova ondata di sfollati, l’età rende loro difficile incontrarsi.
Ma sentono nuove storie dalla TV greca e Marianthi Andreadi crede che nonostante i problemi finanziari del suo Paese “stiamo facendo quello che possiamo”.
Dai loro balconi, gli ex sfollati osservavano i profughi siriani scendere dai pescherecci carichi. “È come uno specchio del passato”, afferma Maria Chroni. “La cosa più difficile è dover assistere all’arrivo dei bambini”.
Eleni sottolinea che gli sfollati greci sono tornati a casa e la vita è tornata alla normalità. Non è sicura che lo stesso accadrà presto ai nuovi rifugiati greci.
traduzione a cura di Alessandra Mecozzi
Grazie a Margarita Kannis, amica di Kastellorizo e appassionata di Palestina, per avermi fatto conoscere questa storia… Alessandra Mecozzi
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