La decisione della Corte Penale Internazionale di poter indagare su presunti crimini di guerra commessi da Israele è una rivincita della strategia legale dei palestinesi. A meno che non gli si ritorca contro.
21 Febbraio 2021 Victor Kattan da Haaretz
Nella foto Il massimo dirigente di Hamas di Gaza, Ismail Haniyeh, sventola la bandiera palestinese a una manifestazione in segno di “vittoria” al termine della guerra tra Gaza e Israele del 2014, un conflitto ora sottoposto all’indagne della ICC. Mohammed Abed,-
La strategia legale dei palestinesi, che ha proceduto a casaccio per più di un decennio, sembra aver ottenuto una significativa rivincita dal via libera dato al procuratore della Corte Penale Internazionale da una istanza preprocessuale per avviare un’indagine su potenziali crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dalle forze armate israeliane a Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza.
Ciò è avvenuto sulla scia di una serie di tentativi falliti di perseguire alti funzionari israeliani nei tribunali del Regno Unito, Belgio e Spagna, per crimini di guerra in base al principio della giurisdizione universale. La Corte Penale Internazionale è stata l’ultimo ricorso della Palestina alla giustizia. Se la Camera avesse deciso diversamente, molti dei crimini documentati da gruppi israeliani e palestinesi per i diritti umani nel corso di molti anni avrebbero continuato a rimanere impuniti e non giudicati.
La decisione della Corte penale internazionale è stata giustamente salutata come un risultato importante dal Primo Ministro palestinese Mohammad Shtayyeh e da numerosi gruppi per i diritti umani; eppure il vero lavoro legale è solo all’inizio. Dato che Israele non fa parte dello Statuto di Roma, non è obbligato a cooperare con la CPI. Pertanto, la risposta di altri stati alla decisione della Camera è importante. Se questi stati si rifiutano di collaborare con il procuratore, Israele avrà poco da temere.

I commenti del ministro degli esteri tedesco indicano che Israele sta ottenendo esattamente questo tipo di sostegno politico, e da paesi potenti. Alcuni di loro potrebbero considerare di proteggere i sospettati israeliani dall’esame della Corte Penale Internazionale, avvertendoli di un imminente mandato di arresto, o semplicemente ignorandone qualcuno, anche se ciò creerebbe una crisi giudiziaria tra questi Stati e la Corte.
C’è un precedente: nel 2015, il Sud Africa ha lasciato che il presidente sudanese Omar al-Bashir volasse a casa a dispetto di un’ordinanza del tribunale secondo cui doveva restare per affrontare un mandato di arresto con l’accusa di genocidio e crimini di guerra. Non sorprende che, prevenendo i recenti sviluppi, Israele abbia investito notevoli risorse per delegittimare una eventuale indagine della Corte Penale Internazionale, creando persino un sito web del governo dedicato a questo scopo, con commenti di stati amici e professori di diritto. L’obiettivo è screditare qualsiasi indagine prima che inizi. Ma scavando più a fondo, possiamo vedere che rimangono seri ostacoli al successo di qualsiasi indagine – e non solo per quanto riguarda i crimini israeliani, ma anche per quanto riguarda i crimini commessi da gruppi palestinesi, principalmente Hamas e la Jihad islamica, che sarà anche oggetto di un’indagine.
La verità è che l’azione più a portata di mano per il nuovo procuratore, l’avvocato britannico Karim Khan QC, che attualmente è a capo della squadra investigativa speciale delle Nazioni Unite sui crimini dell’ISIS in Iraq, e che sostituirà Fatou Bensouda a giugno, sarebbe quello di perseguire Hamas e la Jihad islamica. I loro capi sono accusati di crimini di guerra per aver preso di mira i cittadini israeliani usando razzi e per essersi avvalsi l’uso di scudi umani

Hamas non solo ha il suo quartier generale nel territorio di uno stato parte in causa, vale a dire la Palestina, ma la sua leadership diasporica è sparsa in tutto il mondo, con molti dei suoi leader che vivono nei territori degli stati in causa. Per dirla senza mezzi termini, sono bersagli a tiro. È difficile immaginare che qualsiasi stato in causa sarebbe disposto a violare i propri obblighi internazionali di proteggere in modo proattivo i leader di Hamas da un mandato di arresto emesso dal Procuratore. Naturalmente, farebbe una cattiva impressione se il procuratore si limitasse a perseguire i leader di Hamas e ignorasse i crimini israeliani. Ciò è particolarmente vero perché Hamas è la chiave per il successo di qualsiasi procedimento giudiziario contro Israele: non sono solo potenziali imputati, ma anche alleati dell’accusa. Dopotutto, loro, non Fatah, controllano Gaza dove si sono verificati i crimini più gravi durante l’Operazione Margine di Protezione (2014) e durante le proteste al confine di Gaza (2018-2019). Non è molto il lavoro che può essere fatto da remoto. L’accesso al territorio, la raccolta e la conservazione delle prove, l’identificazione e l’intervista dei testimoni non possono avvenire senza il coinvolgimento di Hamas. Il nuovo procuratore avrà quindi bisogno della loro collaborazione. La realtà è che il pubblico ministero dovrà stabilire un buon rapporto di lavoro con tutte le parti principali: Israele, Fatah e Hamas. Può sembrare un’impresa ardua, ma senza la loro attiva collaborazione sarà difficile far decollare un’indagine su questi temi.

E Fatah dovrà raggiungere un modus vivendi con Hamas su questa questione. Mentre fino ad oggi, sembra che abbiano lavorato insieme con successo sul fascicolo ICC, un mandato di arresto che prenda di mira solo i leader di Hamas potrebbe mettere a repentaglio quella relazione. Né è inconcepibile che Hamas e Israele possano lavorare insieme (silenziosamente, dietro le quinte) per frustrare un’indagine che ha preso di mira i leader israeliani e di Hamas, cosa che, ovviamente, negherebbero strenuamente in pubblico. Quale impatto potrebbe avere il processo della Corte Penale Internazionale sulle elezioni palestinesi a lungo rinviate, che si terranno quest’estate? Qualunque sia il risultato, è difficile immaginare che se Hamas perdesse, concederebbe volontariamente il potere a Fatah nella Striscia di Gaza, con mandati di arresto che pendono sulle teste dei suoi leader. D’altro canto, potrebbe esserci un vantaggio per Hamas nella cooperazione con la CPI. Collaborando con la Corte, specialmente in caso di processo, possono raccontare al mondo la loro storia in un forum con grande risonanza pubblica. E, naturalmente, un processo non significa necessariamente una condanna.
Victor Kattan è Senior Research Fellow presso la School of Law dell’Università di Nottingham. In precedenza è stato Senior Research Fellow presso il Middle East Institute della National University of Singapore. È autore di “From Coexistence to Conquest: International Law and the Origins of the Arab-Israeli Conflict” (Pluto Press 2009) ed curatore, con il compianto Peter Sluglett, di “Violent Radical Movements in the Arab World: The Ideology and Politics of Non State Actors “(Bloomsbury 2019). Twitter: @VictorKattan
Traduzione a cura di Gabriella Rossetti da Haaretz
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