Intervista ad Hanan Ashrawi con Hatem Bazian nella foto Hanan Ashrawi con Hatem Bazian, luglio 2020
di Rima Najjar
Ero oltremodo entusiasta di imbattermi in una vivace conversazione tra due famosi palestinesi – un dialogo che produce consapevolezza dell’ingiustizia in Palestina e un discorso critico intelligente.
Hatem Bazian, co-fondatore e professore di diritto e teologia islamica allo Zaytuna College, il primo college di arti liberali musulmano accreditato negli Stati Uniti, è descritto sulla sua pagina web come un “pensatore islamico de-coloniale”. Ha intervistato Hanan Ashrawi, leader, legislatrice, attivista e studiosa palestinese, partendo dalla Conferenza di Madrid.
Hanan Ashrawi (allora 45enne) divenne famosa a livello internazionale come portavoce della delegazione palestinese alla conferenza sul Medio Oriente del 1991 a Madrid. La conferenza comprendeva delegazioni di Israele, Giordania, Siria e Libano sotto la presidenza congiunta di Bush e Gorbaciov. In Peace process: diplomazia americana e conflitto arabo-israeliano dal 1967, William B. Quandt dice: “I discorsi formali [alla conferenza di Madrid] difficilmente sarebbero stati ricordati, con la sola eccezione del discorso palestinese insolitamente eloquente . ” [Guarda il discorso su C-Span.] Iniziava così:
“Noi, il popolo della Palestina, siamo davanti a voi nella pienezza del nostro dolore, del nostro orgoglio e della nostra attesa perché abbiamo a lungo nutrito un desiderio …”
All’epoca, Hanan Ashrawi, eccellente comunicatrice, rappresentava l’obiettivo palestinese di protendersi verso il “nemico e il mondo; ma anche … interiormente, per guarire lo spirito nei [loro] cuori “. Ventinove anni dopo, in questa conversazione con Hatem Bazian, ha perso qualsiasi illusione sul cuore del nemico ed analizza in modo scorrevole Israele per la mostruosità coloniale razzista, ladra, genocida e suprematista che è.
Come ora tutto il mondo sa, l’iniziativa di Madrid (la “soluzione dei due Stati” come “processo di pace”) si è rivelata nient’altro che una lunga prova e fonte di sofferenza per i palestinesi. In questa intervista, Hanan Ashrawi ricorda l’approccio fondamentalmente imperfetto dei colloqui, attribuisce la colpa (senza fare nomi) e difende il suo successivo coinvolgimento nel l’Autorità Palestinese (AP), un gesto significativo e necessario nell’attuale atmosfera politica, quando molti palestinesi all’interno e in esilio accusano l’Autorità Palestinese di capitolare davanti a Israele e descrivono Mahmoud Abbas e il suo apparato come agenti e traditori americani / israeliani:
Ashrawi: Sfortunatamente c’è stato un altro canale in seguito [relativo alla conferenza di Madrid] che ha funzionato in modo diverso. Il nostro approccio era quello di affrontare dapprima tutte le questioni centrali, affrontare la dimensione territoriale, la dimensione giuridica e la dimensione umana, ma non affrontare mai l’approccio tecnico funzionale.
Bazian: La firma di Oslo è arrivata da qualcuno che non conosceva e non viveva sotto occupazione.
Ashrawi: In primo luogo, non capivano la vastità degli insediamenti; non capivano la mentalità dell’occupazione israeliana … noi la conosciamo; conosciamo il ventre dell’occupazione… purtroppo nelle discussioni… è stato esattamente l’opposto. Piuttosto che occuparsi della terra e delle persone, dei diritti e delle questioni fondamentali come i confini e così via e la rimozione degli insediamenti – lo avevamo detto prima che accadesse qualsiasi cosa – la costruzione degli insediamenti non deve solo essere congelata ma fermarsi … e voi dovreste iniziare lo smantellamento degli insediamenti. Dobbiamo avere il pieno controllo del nostro registro fondiario e del nostro registro della popolazione, perché questi sono gli attributi della sovranità, così possiamo iniziare a decostruire e smantellare il sistema di potere e controllo su di noi.
E invece … c’erano negoziati segreti, condotti da due persone, che non capivano veramente – non gli attribuisco cattive motivazioni – non capivano la ampiezza, non capivano le ramificazioni dell’approccio funzionale [di Israele]. Non capivano che quando adotti l’approccio graduale e quando non hai alcun tipo di potere decisionale, alcun tipo di azione o impegno, gli israeliani non rispettano i termini di riferimento su cui avevamo lavorato prima, sulla base del diritto internazionale.
… gli accordi avevano così tanti difetti intrinseci … Io dico: ma come puoi, come puoi rinunciare a ogni controllo su Gerusalemme e rimandare la questione senza alcuna garanzia? Come si può non discutere di smantellamento degli insediamenti e rimandarlo senza alcuna garanzia? … l’autopsia è sempre interessante ma l’ abbiamo scritto dall’inizio … abbiamo detto che siamo di fronte a un nemico, un occupante che sta usando il processo di pace e soprattutto il rapporto con gli Stati Uniti per rafforzare ed espandere l’occupazione … Faisal [Husseini] ed io siamo andati a Washington per la firma perché non volevamo mostrare alcuna divisione. Ho parlato contro l’accordo e poi mi sono rifiutata di avviare i negoziati.
Allo stesso tempo ero impegnata sul campo per costruire la società civile. Ho accettato di essere ministro dell’istruzione … perché è così che sentivo di poter aiutare i palestinesi a sostenere la resilienza sul terreno. Mi sono candidata alle elezioni perché avevamo bisogno di una rappresentanza forte.
I palestinesi sono una pubblicità ambulante di quanto il dominio politico su di essi da parte dello Stato israeliano incida su di loro personalmente. Ashrawi spiega: “La narrativa palestinese è una raccolta di storie personali o di dispersione, sradicamento, espropriazione, o una storia di oppressione, discriminazione e prigionia – tutto sommato, non credo che ci sia un solo palestinese che sfugga ad alcuna di queste cose. È un tipo di ingiustizia totale “.
Ashrawi è nata poco prima che la Palestina venisse divisa con violenza per creare Israele sul 78% della superficie che era stata chiamata Palestina per secoli prima della Nakba. Lei e i suoi fratelli erano quelli che oggi gli americani chiamano “marmocchi dell’esercito”. La famiglia di suo padre viene da Ramallah. Era un medico dell’esercito palestinese prima della Nakba ed era di stanza in una città palestinese diversa ogni due anni, con il risultato che, mentre lei e la sorella erano nate a Nablus, gli altri suoi fratelli erano nati a Gerusalemme, Majdal (ora ribattezzato Ashkalon da Israele) e al-Khalil (Hebron) rispettivamente. Quando furono costretti a lasciare la Palestina nel 1948, la famiglia di Ashrawi era di stanza a Tabariya (Tiberiade).
Da adulta, Ashrawi ha potuto acquisire un documento di identità di Gerusalemme dopo aver sposato un “gerosolimitano” – un documento di identità successivamente “revocato” nel contesto del progetto israeliano di giudaizzazione in corso a Gerusalemme. Ashrawi può così dire: “Io sono tutta la Palestina”. Derubati del loro ordinamento territoriale, i palestinesi sono spesso costretti a descrivere se stessi facendo riferimento alle città, come i cittadini di Roma o Atene in passato.
“Il nostro lavoro è difendere i palestinesi, sostenere la loro resilienza fornire loro tutto ciò che possiamo, in modo che possano rimanere sulla terra – e poi vedremo”.
A differenza di Arafat, che non aveva sperimentato l’occupazione prima di intraprendere l’iniziativa dei “due stati”, Hanan Ashrawi capisce perfettamente di cosa sta parlando quando risponde a una domanda sulle proposte di uno stato unico ora diffuse:
Non è un’idea nuova. Quando le persone mi dicono che siamo per i diritti e la libertà e non vogliamo parlare di autodeterminazione e sovranità e così via, dico perché? È nostro diritto l’autodeterminazione. Perché vuoi abbandonarlo?
… quando ero nell’Unione degli studenti palestinesi nel 1968, abbiamo escogitato la soluzione di uno stato unico … questo era il punto forte dei palestinesi sin dall’inizio, ma il fatto è che, adesso, dopo tutti questi anni, venirsene fuori e dire ora avremo uno stato unico, senza avere un piano politico, senza capire le implicazioni di ciò che significa, penso francamente … credo che nessuna delle due soluzioni sia disponibile, né uno né due stati. Davvero.
Penso che Israele abbia effettivamente distrutto sul terreno la soluzione dei due stati e, a meno che non ci sia un cambiamento epocale nella comunità internazionale che chieda conto ad Israele e gli faccia assumere le sue responsabilità, per iniziare lo smantellamento degli insediamenti, non solo il ritiro, devono restituire la terra ai legittimi proprietari, dobbiamo compiere passi seri che indichino volontà politica e il coraggio di resistere a Israele, non sforzarsi di salvare una soluzione a due stati.
Israele ha lavorato sistematicamente per garantire che non ci fosse uno stato palestinese, che ci fosse solo uno stato israeliano, e c’è solo uno stato israeliano. È diventato chiaramente uno stato di apartheid, ma non solo di apartheid … è peggio, perché è il tentativo di sradicare la nostra presenza e penso che ci sia chi parla di trasferimento, espulsione e così via. Vogliono la terra senza le persone, quindi si arriverebbe agli estremi ed è molto, molto grave.
Per passare da lì e dire OK, la soluzione è uno stato, devi essere in grado di definirlo come un programma politico … devi definire chi acquisisce, devi avere controparti, devi essere in grado di mobilitare e galvanizzare attorno a quell’obiettivo. In un certo senso devi de-sionizzare Israele. Come si arriva da lì allo stato unico? Mantenendo l’occupazione? dicendo ai palestinesi dovete essere israeliani? Devi solo dire [è] Voglio la parità di diritti e il mondo verrà ad aiutarti?… Continuo a dire che il diritto all’ autodeterminazione è cruciale per noi palestinesi. Voglio il diritto alla mia storia, alla mia terra, alla mia cultura. Voglio vivere in libertà e avere il controllo della mia vita e delle mie risorse. Non voglio essere sotto uno stivale. Il nostro diritto all’autodeterminazione è molto importante. Ecco perché le persone qui esitano ad abbracciare la soluzione dello stato unico anche se sanno che la soluzione dei due stati è distrutta, non vedono come arrivare a quello stato, perché se questo significa mantenere l’occupazione così com’è, e chiedere a parità di diritti, finisce che perderai tutta la tua terra. I palestinesi del ’48 possedevano oltre il 90% della loro terra, cosa hanno adesso? Meno del 3% di quella terra.
La fuga dei cervelli … rendere la vita impossibile ai palestinesi così se ne andranno. Continuo a ripetere che Israele non è uno spettatore neutrale che sta ad aspettare che abbiamo più figli di loro e così via. Non è una gara demografica; è una questione di diritti … i palestinesi di Israele sono cittadini, eppure sono cittadini di seconda e terza classe. Eppure li discriminano in modo sistematico, strutturale e istituzionale. Legiferano. E nel momento in cui hanno adottato la legge sullo stato Nazione, secondo cui solo gli ebrei hanno diritto all’autodeterminazione, stanno dicendo a tutti noi e a tutti gli altri che non gli appartieni. Sono persino disposti a trasferimenti di massa … possiamo parlarne come di ingegneria demografica … trasferire [dal] triangolo nel nord [di Israele – cioè trasferire i palestinesi da lì] e darli [mandarli] in [Cisgiordania] perché non vogliono contaminare la purezza della ebraicità con i non ebrei e così via. Questo è molto pericoloso, senza che ci siano in atto controlli e protezioni per i palestinesi, per la nostra terra, per le nostre vite.
Non voglio vedere uccisioni ed esecuzioni extragiudiziali quotidiane. Non voglio vedere demolizioni quotidiane di case. Quotidianità. Diverse case vengono distrutte ogni giorno. È così che stanno portando avanti un sistema di pulizia etnica. Come possiamo ottenere protezione per i palestinesi che sono sotto occupazione? Per me, ora, la domanda è come si fa a frenare la violenza e le violazioni israeliane? Come imponi la responsabilità ad Israele, come fornisci protezione ai palestinesi?
… Prima abbiamo bisogno del controllo totale delle nostre vite e poi possiamo cercare soluzioni … è nostro compito difendere i palestinesi, sostenere la loro resilienza, fornire loro tutto ciò che possiamo, in modo che possano rimanere sulla terra – e poi si vedrà…
Ashrawi mi ha scosso con quanto ha detto, devo ammetterlo. Le sue parole mi hanno portato a ripensare il mio discorso disinvolto sullo stato unico mentre Gerusalemme brucia, per così dire. Dobbiamo concentrarci sul porre fine al dissanguamento.
Hanan Ahsrawi, tuttavia, non sta dicendo qui che uno stato unico è impossibile. Sta dicendo che deve essere chiarito con un programma politico, controparti, ecc. I palestinesi stanno appena iniziando a immaginare un futuro radicale nel contesto della decolonizzazione della Palestina. Non ci arrendiamo e non lo faremo mai!
Vedi l’eccellente analisi di Yara Hawari’s in Beyond Failed Frameworks: A Re-Imagined Collective Future.
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Rima Najjar è una palestinese la cui parte paterna della famiglia proviene dal villaggio di Lifta, spopolato con la forza, nella periferia occidentale di Gerusalemme e la cui parte materna della famiglia proviene da Ijzim, a sud di Haifa. È un’attivista, ricercatrice e docente in pensione di letteratura inglese, Università Al-Quds, Cisgiordania occupata.
Traduzione a cura di Alessandra Mecozzi da: https://medium.com/discourse/how-do-you-solve-a-problem-called-israel-39e39ff6687e
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