CALL US NOW 333 555 55 65
DONA ORA

La Nakba e la terra perduta

Fareed Taamallah, Campo profughi di Al Amari Middleeasteye

I sopravvissuti della Nakba ricordano le lotte contadine nella Palestina nell’era del mandato

L’agricoltura era centrale per la società palestinese prima della creazione dello stato di Israele – e le forze coloniali britanniche lo sapevano.

Khadija al-Azza, qui in 2019, fu costretta a fuggire dal villaggio di Tell al-Safi in 1948. Ha 88-anni ed ha vissuto per decenni in al-Amaari refugee camp, occupied West Bank (MEE/Skip Schiel)za

Per Khadija al Azza, il suo villaggio nativo di Tell al –Sfi era il paradiso.

“Vivevamo la migliore delle vite” ha detto questa donna di 88 anni a Middle East Eye, ricordando la piccola comunità rurale della sua infanzia, prima che la sua popolazione fosse espulsa con la forza dalle milizie sioniste nel 1948, durante la Nakba- in arabo “catastrofe”.

Tra il 1917 e il 1948 il Regno Unito occupò la Palestina durante quella che si ricorda come l’era del Mandato. Piccoli contadini, noti come fellahin, occupavano un posto centrale nella società palestinese del tempo con tre quarti della popolazione che viveva in aree rurali e con l’agricoltura come fonte principale di sopravvivenza, che riuniva le famiglie nei lavori dei campi.

Con la dichiarazione di Balfour del 1917, il governo britannico si impegnò a creare un “focolare” nazionale per gli ebrei in Palestina, sviluppando diverse politiche per realizzare questa promessa- molte delle quali a spese dei palestinesi.

Ora, 72 anni dopo la creazione dello stato di Israele e la dispersione di massa di migliaia di palestinesi fuori dalle loro terre, i sopravvissuti della Nakba condividono con Middle East Eye i ricordi della vita e della terra che hanno perso, alla quale mantengono un profondo attaccamento.

Vita di campagna

Quasi 750.000 palestinesi sono stati espulsi dalle loro case durante la Nakba. Loro e i loro discendenti ora sono più di 5.4 milioni, dispersi tra West Bank e Gaza e i paesi limitrofi. Molti dei villaggi che erano stati evacuati con la forza sono stati distrutti o convertiti in parchi naturali da Israele, con gli alberi che crescono sulle rovine delle case abbandonate.

Vissuti per decenni in campi profughi affollati nella West Bank, gli anziani sopravvissuti che MEE ha incontrato hanno parlato del costante desiderio di ritornare alle loro case di un tempo. Alcuni dicono di sognare ancora, la notte, di lavorare nei propri campi.

Azza, che ora vive nel campo di Al Amari-vicino alla città di Ramallh, ricorda come Tell al Safi fosse un villaggio autosufficiente con una grande abbondanza di coltivazioni – campi in cui si coltivava segale, grano, granoturco, sesamo, pomodori e okra, con gli alberi che producevano olive, mele, fichi e mandorle.

“Al limitare del villaggio, c’era un pozzo d’acqua, e, usando animali da traino, l’acqua veniva pompata dal pozzo ai serbatoi”, ricorda “Non avevamo bisogno di niente da fuori del villaggio”.

Shukria Othman, di 86 anni , condivide memorie simili del suo villaggio, Lifta, ad ovest di Gerusalemme.

Shukria Othman, 86, cresciuta nel villaggio di Lifta ovest di Jerusalem prima della Nakba. Adesso vive in Qaddura campo profughi (MEE/Fareed Taamallah)

“Prima della Nakba lavoravamo duro, ma eravamo felici” ha detto. “C’era tutto. Piantavamo zucchine, cavolfiori e granoturco. Avevamo olivi e alberi di prugne e mandorle.”

Proprio vicino al villaggio c’era una fonte di acqua dolce detta Ain Lifta. Ma secondo Othman, che ora vive nel campo profughi di Qaddura nella Cisgiordania centrale, gli ebrei che vivevano lì vicino hanno costruito un muro attorno alla fonte, bloccando al di fuori i palestinesi mentre nuotavano

Ogni produzione in più nei villaggi era venduta in città, permettendo così agli abitanti di coprire i bisogni di altre merci.

Furto di terra

Othman dice che l’autosufficienza dei villaggi era di grande importanza per la sopravvivenza durante gli anni del Mandato – soprattutto durante lo sciopero generale di sei mesi del 1936, durante il quale i palestinesi protestarono per il trattamento di favore riservato alla piccola ma crescente popolazione di immigrati ebrei.

L’immigrazione ebraica in Palestina è stata una fonte di tensione tra le autorità del mandato britannico e i Palestinesi soprattutto per il trasferimento di terra palestinese alla comunità ebraica – o attraverso passaggi unilaterali di proprietà oppure creando condizioni che facilitassero il furto di terre (land grab) o la vendita da parte di grandi proprietari non palestinesi.

Durante gli anni del Mandato si sa che le autorità britanniche emisero disposizioni che facilitavano la confisca di terra palestinese per motivi militari- terre che venivano poi consegnate ai residenti ebrei.

Fatima Nakhleh, di 89 anni, pensa che il luogo in cui era stato costruito il suo villaggio poi distrutto, di Beit Nabala e le sue terre fertili siano stati maledetti, anche prima della Nakba.

L’aeroporto di Lydda, il cui nome fu poi cambiato in ricordo del primo ministro israeliano David Ben Gurion, fu costruito per i militari britannici sul terreno piatto di Beit Nabala nel 1936. Mentre si aprivano cave di pietra nelle vicinanze.

“Quando avevo sei anni, i britannici hanno preso la nostra terra fertile della Wasta e hanno costruito un campo per il loro esercito.”Dice Nakhleh.“Quando sono arrivati gli ebrei, hanno costruito una piccola colonia ebraica detta Beni Shomar sulla terra tra Beit Nabala e Lydda”

Maryam Abu Latifa, che era nata nel 1929 a Saraa, a ovest di Gerusalemme, si ricorda anche lei come la terra del suo villaggio fu lentamente presa dai coloni ebrei quando era bambina.

“Alla fine degli anni 20 gli ebrei avevano costruito una piccola colonia vicino al nostro villaggio e l’avevano chiamata Haruv. Rifugiati ebrei dall’Europa cominciarono ad arrivare, dopo di che fu costruito il kibbuz di Kfar Uria” dice.

La risoluzione 181 delle Nazioni Unite, nota anche come Piano di Partizione, promosse la divisione della Palestina storica, attribuendo il 55% della terra agli ebrei e il 45% ai palestinesi- nonostante che gli ebrei fossero il 32 per cento della popolazione e i Palestinesi il 60.

Prima della risoluzione delle Nazioni Unite gli ebrei – sia che fossero immigrati che residenti da tempo in Palestina – possedevano il 6% della terra.

Secondo l’Ufficio Centrale di statistica, (PCBS) oggi Israele ha il controllo dell’ 85% della Palestina storica- sia che siano terre su cui oggi c’è lo stato di Israele o che siano state occupate militarmente.

La guerra economica

Sotto il Mandato Britannico si sono verificati trasferimenti di terra con lo scopo preciso di colpire l’agricoltura palestinese- un nodo che lega i Palestinesi alla loro terra.

Durante la prima guerra mondiale, la Palestina è stata teatro di diverse battaglie importanti. Gli effetti della guerra insieme alla repressione ottomana, si sono aggiunti a epidemie e carestie che lasciarono i Palestinesi in condizioni terribili a lottare per soddisfare i bisogni primari.

Con l’arrivo dei Britannici, i Palestinesi si sono trovati nella necessità di vendere gli ulivi per farne legna da ardere alle forze di occupazione in cambio di beni di prima necessità come pane e riso. Le eredità di famiglia furono scambiate per la sopravvivenza – ma i legami della gente con la terra furono di importanza cruciale per uscire dalla crisi.

“Pochi anni dopo la guerra, cessò la crisi della mancanza di cibo e di rifornimenti grazie agli sforzi e alla resilienza dei contadini che erano tornati alle loro fattorie, a prendersi cura del proprio bestiame e a piantare alberi e coltivazioni.” Ha detto lo scrittore Nabeel Alkam.

Coltivatori palestinesi vendono le loro angurie al mercato di Jaffa nel 1940 (memoria dell’agricoltura della Palestina)

Ma le autorità del Mandato cercarono di trasformare il sistema economico palestinese esistente, fondato sull’agricoltura tradizionale, in una economia capitalista.

Il nuovo sistema economico beneficiava largamente degli investimenti di capitali da parte dei nuovi immigrati come anche dalla classe dirigente tradizionale palestinese che afferrò l’ opportunità si accrescere la propria ricchezza.

Così avvenne che molti piccoli contadini, i fellahin, abbandonarono l’agricoltura per andare in città in cerca di un impiego in posti come Haifa e Jaffa. Questi impieghi procuravano buone entrate per le loro famiglie, ma li rendevano dipendenti dai britannici.

Molti palestinesi trovarono lavoro nei Kibbuz e nei “campi” britannici, oppure entrarono nelle forze di sicurezza o nel settore delle costruzioni.

Nel frattempo, anche le tasse diventarono un carico pesante per gli agricoltori – e le autorità britanniche manipolavano attivamente domanda e offerta- anche importando prodotti agricoli a prezzi bassi e impedendo agli agricoltori di coltivare prodotti ad alto rendimento.

Omar Amara, di 87 anni, ricorda che gli agricoltori nella sua città natale di Miska a est di Jaffa, producevano surplus di grano- “tuttavia, non potevamo vendere perché i britannici importavano il grano a basso prezzo dall’ Australia.”

Amara, che ora vive nel campo profughi di Tualkarm, ha raccontato un altro esempio di quando le autorità britanniche hanno detto ai residenti di Miska che li avrebbero aiutati a esportare i loro meloni in Egitto.

“In effetti un treno arrivò. I contadini caricarono le angurie e il treno partì” dice, “Per mesi i contadini hanno chiesto i soldi delle angurie, ma le autorità continuavano a rimandare. Non hanno mai pagato, raccontando che il treno era stato derubato”.

La lotta armata

Una serie di lettere scambiate tra personaggi arabi e britannici durante la seconda guerra mondiale, note come il carteggio McMahon-Hussein- promettevano l’indipendenza araba in cambio della partecipazione alla lotta contro l’impero ottomano.

L’esito della battaglia, credono molti palestinesi, era stato deciso prima

Ma la Dichiarazione di Balfour e l’accordo Sykes-Picot del 1916 avevano fatto sperare nella possibilità che gli arabi stabilissero una sovranità sulle proprie terre, compresa la Palestina, dove c’erano forti aspirazioni nazionaliste.

Molti palestinesi presero le armi contro le forze coloniali britanniche e le milizie ebraiche che cercavano di creare uno stato ebraico in Palestina durante la rivolta che durò dal 1936 e al 1939.

La politica britannica in generale era di proteggere la popolazione ebraica, rifiutando una protezione simile alla popolazione palestinese, in particolare ai contadini.

Le forze del Mandato fornivano anche armi e addestramento militare alle milizie ebraiche punendo i palestinesi in possesso di armi.

“ I Palestinesi avevano solo pochi fucili e pochissime munizioni, gli ebrei avevano carri armati e aerei”, ricorda Azza.

Nakhleh, intanto, ricorda un caso degli abitanti del villaggio di Beit Nabala che spararono con i loro vecchi fucili contro un convoglio di veicoli diretti ad una colonia vicina.

“In seguito arrivarono i britannici e bombardarono il nostro villaggio con l’artiglieria. Uccisero sette giovani e mio marito fu ferito” dice.

Il fatto che i fellahin costituissero un’ alta percentuale dei combattenti nella rivolta del 1936 li mise nel mirino dei britannici che presero misure sia economiche che militari per indebolirli.

Per molti sopravvissuti oggi, la repressione dei contadini durante il Mandato svolse un ruolo importante nell’indebolire la società palestinese nel complesso e spianare la strada alla Nakba.

Prima di lasciare la Palestina il 15 maggio 1948, le forze britanniche consegnarono la maggior parte delle armi alle milizie sioniste. Dopo decenni di repressione dei Palestinesi, gli equilibri di potere si spostarono decisamente e l’esito della battaglia, pensano molti Palestinesi era stato deciso in anticipo.

traduzione Gabriella Rossetti da https://www.middleeasteye.net/news/palestine-nakba-farmers-rural-resistance-british-mandate

PalestinaCeL

VIEW ALL POSTS

NEWSLETTER

Iscriviti e resta aggiornato