Maureen Clare Murphy per Electronic Intifada
Ci sono ora 30 casi confermati di COVID-19, la malattia causata dal nuovo coronavirus, nella Cisgiordania occupata, secondo quanto riferito dall’Organizzazione mondiale della sanità. Tutti questi casi si trovano nell’area di Betlemme, tranne uno a Tulkarm.
“I casi COVID-19
segnalati da Betlemme non hanno finora sviluppato sintomi e rimangono
attualmente messi in quarantena in un hotel”, ha affermato
l’OMS.
“Un medico di medicina preventiva è disponibile sul
sito per garantire adeguate procedure di gestione dei casi.”
Il
leader dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha dichiarato lo
stato di emergenza e misure radicali per contenere il virus dopo che
è stato rilevato in Cisgiordania la scorsa settimana. Nessun caso di
coronavirus è stato segnalato finora a Gaza. Il rischio che il virus
si diffonda in Cisgiordania e Gaza “rimane molto elevato”,
ha affermato l’OMS.
A partire da mercoledì, ci sono stati oltre
118.000 casi confermati di COVID-19 in tutto il mondo, quasi 4.300
dei quali mortali.
L’OMS ha ora definito l’epidemia globale di
COVID-19 come una pandemia, la prima scatenata da un coronavirus.
La
regione mediterranea è un epicentro del virus, con quasi 8.700 casi
e 300 decessi in 16 paesi.
Le
chiusure israeliane
Il ministero della salute
israeliano ha riportato quasi 100 casi di coronavirus.
Il
traffico aereo da e verso Israele si è quasi arrestato dopo che è
stata annunciata una quarantena obbligatoria di 14 giorni per
chiunque entri nel paese.
Giovedì Israele prevede di “imporre
un’estesa chiusura ai movimenti di persone da e verso la Striscia di
Gaza in risposta alle preoccupazioni per il Coronavirus”, ha
dichiarato mercoledì il gruppo per i diritti umani Gisha.
Le
maggiori restrizioni riguardano più direttamente circa 6.000
residenti di Gaza in possesso di permessi di “commerciante”
che consentono loro di lavorare in Cisgiordania e Israele.
Le
restrizioni al viaggio via checkpoint
di Erez, l’unico
passaggio per le
persone tra Gaza e Israele, erano già state rafforzate domenica per
la festa ebraica di Purim.
I palestinesi a Gaza sono soggetti
alle restrizioni di
movimento da parte di Israele
da decenni e coloro che desiderano lasciare il territorio via Erez
devono richiedere
l’autorizzazione
israeliana. Anche durante periodi “normali”, viaggiare da
e verso Gaza via Erez è in genere
limitato, a quelli che Israele considera
casi “umanitari”.
Il passaggio di Rafah al confine
tra Gaza ed Egitto è rimasto aperto mercoledì. Le autorità di
Gaza hanno istituito un centro di quarantena all’incrocio per
isolare i viaggiatori di ritorno dai paesi ad alto rischio.
“Alle
persone che entrano nella Striscia da altre destinazioni sarà
comunicato di rimanere in auto-quarantena
a casa”, ha dichiarato Gisha.
Il
gruppo per i diritti ha aggiunto che l’OMS sta aiutando a creare una
struttura medica vicino a Rafah in caso di epidemia.
“La
struttura includerà un’unità di terapia intensiva con 36 letti e 30
letti aggiuntivi per i pazienti con diagnosi di sintomi più lievi”,
ha detto Gisha.
Un focolaio di COVID-19 a Gaza provocherebbe
probabilmente un numero sproporzionato di morti rispetto a un
focolaio in altre aree del mondo.
Una delle aree più densamente
popolate del pianeta, la popolazione di Gaza è
di due milioni, è
profondamente impoverita dopo 13 anni del
pesante blocco israeliano.
L’acqua
del rubinetto nella Striscia
di Gaza
è già per lo più non potabile anche in tempi ordinari e i servizi
di smaltimento dei rifiuti sono scarsi a causa dell’ insufficiente
fornitura di energia elettrica e di infrastrutture inadeguate”,
secondo Gisha. Quasi la metà delle medicine essenziali a Gaza è in
stock
per
la durata
di un mese scarso,
o
è completamente esaurita.
Un gran numero di casi COVID-19
contribuirebbe al “crollo”
del sistema sanitario di Gaza, ha avvertito un funzionario
dell’OMS.
Il viaggio dentro e fuori la Cisgiordania è
estremamente
limitato dopo che la Giordania, che finora ha denunciato un caso di
coronavirus, ha chiuso il
suo accesso
lunedì. Il giorno seguente, Israele ha annunciato la chiusura del
lato che controlla.
Martedì la Giordania ha imposto ulteriori
restrizioni ai viaggi internazionali, mentre il Kuwait ha annunciato
che a partire da venerdì sospenderà tutti i voli in entrata e in
uscita dallo stato del Golfo per almeno due settimane.
Risposta
discriminatoria
I gruppi palestinesi per i diritti umani
hanno sottolineato il carattere discriminatorio della risposta al
coronavirus da parte di Israele.
Israele non è riuscito a
fornire aggiornamenti in tempo reale del coronavirus in arabo per i
cittadini palestinesi che costituiscono circa un quinto della sua
popolazione (palestinesi abitanti dello Stato di Israele) ha
dichiarato Adalah, un gruppo che sostiene i diritti di quella
comunità.
“Un esame del sito web del ministero della
salute israeliano ha rivelato che gli aggiornamenti in corso relativi
al coronavirus sono stati pubblicati solo in ebraico; Gli
aggiornamenti in lingua araba vengono rilasciati solo dopo notevoli
ritardi “, ha affermato Adalah.
“Inoltre, i post sui
social media e l’app per smartphone del ministero sono accessibili
solo in ebraico”.
Adalah ha aggiunto che l’incapacità di
fornire informazioni aggiornate in arabo “non solo viola il
diritto alla parità, ma costituisce anche un pericolo immediato per
la salute pubblica”.
Al Mezan, un
gruppo per i diritti umani con sede a Gaza, ha dichiarato martedì
che le autorità carcerarie non hanno adottato misure adeguate per
proteggere la salute di circa 5.000 palestinesi detenuti nelle
carceri e nei centri di detenzione israeliani.
Questo vuol dire
che non sono state fornite informazioni in arabo e che i palestinesi
vengono tenuti in condizioni di sovraffollamento: otto per cella,
contro quattro israeliani per cella in media.
Ai prigionieri israeliani è
consentito ricevere visite di
familiari dietro ad uno
schermo di vetro,
mentre ai palestinesi non è consentito fare tali visite.
Il
Servizio penitenziario israeliano ha dichiarato mercoledì che stava
prendendo in considerazione l’imposizione di quarantene nelle carceri
in caso di epidemia. Stava progettando di evacuare una prigione in
modo che potesse servire da centro di quarantena se qualche
prigioniero contraesse
il virus.
Ore dopo, i media israeliani hanno riferito che un
ufficiale della prigione del centro di detenzione di Nitzan si era
rivelato positivo per il coronavirus dopo essere entrato in contatto
con una persona malata in detenzione.
Mentre la persona detenuta
non è stata identificata, Nitzan, noto anche come prigione di Ramle,
è usato per arrestare sia palestinesi che israeliani.
Nel
luglio 2019, il detenuto palestinese Nasser Taqatqa è morto nella
prigione.
Gruppi per i diritti umani hanno affermato che la sua
morte potrebbe essere stata il risultato di torture e negligenza
medica.
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