Quarta e ultima puntata delle interviste a donne palestinesi, nella loro terra, a cura di Gabriella Rossetti e Alessandra Mecozzi. La foto è il porto di Gaza
Samar Hawash – attivista – Nablus – Palestinian Working Woman Society for Development (PWWSD)

La incontriamo nella sede della associazione (nata nel 1981) a Nablus. Fino al 1991 era nella commissione donne del People’s party (partito comunista).
Samar, qual’è l’attività di questa associazione?
Abbiamo rivalutato il nostro lavoro con le donne anche collegandoci ad altri comitati e ci siamo concentrate su una agenda sociale e dei diritti delle donne come diritti umani. Il nostro femminismo è diverso da altri: per noi la lotta contro l’occupazione è sempre centrale, ma insieme ad essa la lotta per le donne come cittadine: non ci considerano così. C’è una oppressione patriarcale interna. All’inizio degli anni 80 non se ne poteva parlare. Si pensava che i panni sporchi si lavano in casa. Negli anni 90 con l’ANP ancora, l’uomo doveva essere il tutore! questo è stato poi cancellato.
Ma tutt’oggi esiste il delitto d’onore e finora hanno rifiutato di cambiare il diritto di famiglia. Penso che siano troppo vicini a islamisti, e questo si riflette nella mentalità pubblica, nell’opinione comune.
Sei contro Hamas quindi?
No. Io penso che Hamas abbia diritto di far parte del sistema politico. La loro vittoria nelle elezioni del 2006 è stata una sorpresa. Ma la divisione politica tra palestinesi è un grande problema; lo è anche il comportamento dell’ ANP, che più di una volta ha usato violenza contro i manifestanti a Ramallah.
Noi donne abbiamo cercato una piattaforma per il dialogo: ma siamo state fermate dagli uomini!
Oggi la situazione è davvero terribile: con tutte le violazioni dei diritti e del diritto da parte di Israele, da un lato, e dall’altro l’Europa con un doppio standard verso Israele. E che taglia fondi alle Ong se non accettano le loro condizioni! Il Governo olandese ha già cominciato…
La nostra attività si svolge su tre programmi, dove le donne sono soggetti: il programma che io seguo riguarda la partecipazione politica; poi c’è quello sulla violenza contro le donne; infine quello sul rafforzamento del potere sociale ed economico.
Nel programma che seguo spingiamo molto sulla presa di coscienza sociale e politica, in particolare rispetto alle elezioni locali e nazionali. Quindi facciamo formazione politica e auto formazione. Operiamo in Cisgiordania, dove dobbiamo fronteggiare non solo l’esercito israeliano, ma anche la violenza dei coloni, e a Gaza, dove come sapete c’è un blocco che dura da 15 anni e periodici attacchi militari!
Riguardo alla violenza contro le donne sono statti costruiti servizi: di confronto individuale con psicologhe; un telefono rosa di pronto soccorso; uno sportello di aiuto legale.
Sul versante socioeconomico, abbiamo cominciato a formare cooperative, in parte per la produzione di reddito. Gran parte del sostegno economico arriva da Ong internazionali.
In genere dobbiamo agire per un equilibrio tra i servizi offerti e le pressioni politiche. Lavoriamo molto anche con altre associazioni: con il Women’s Affairs Technical Committee, nato nel 1992, quando nel 1993 ho lasciato il partito; con i Comitati per la salute.
Certo c’è un problema generazionale: noi abbiamo però molte giovani e sono molto attive in tutti i campi. Questo ci fa sperare….
a cura di Alessandra Mecozzi
Islah Jad – 71 anni – Ricercatrice e docente Università di Bir Zeit

“Changes happen, Changes can happen, at all levels, action can happen” . I cambiamenti succedono, i cambiamenti possono succedere, a tutti i livelli, l’azione può accadere. Islah fa questa affermazione con tono deciso; si tratta di agire per il cambiamento, cosa di cui qui si è sentita la mancanza. Islah è stata per molti anni docente di sociologia e antropologia alla Università di Birzeit. Era la più giovane del gruppo che creò l’Istituto di Ricerca sulle Donne. Un settore marginale finchè non ebbe accesso ad un cospicuo contributo del Qatar che finanziò una nuova struttura edilizia, parallela alla creazione di un analogo istituto qatarino a cui alcune docenti di “studi di genere” hanno collaborato per periodi definiti. Una impresa di “modernizzazione” e di creazione di una qualche forma di “femminismo islamico”? Certamente, ma una impresa che offre un appiglio a chi non vuole cancellare le radici culturali e religiose dell’islam presenti nella formazione delle donne a livello di massa . Islah a questo tema aveva dedicato la sua ricerca di dottorato in Inghilterra: mettendo in luce la componente islamica del nazionalismo palestinese come aspetto di un radicamento storico culturale identitario capace di resistere alla “ONG izzazione” che, insieme agli aiuti “esterni”, aveva mortificato l’autonomia del movimento delle donne creando dipendenze imbarazzanti dagli aiuti “occidentali”. Nata nel 1951, Islah, dopo la pensione, continuerà nel suo attivismo rivolto alle donne delle classi più disagiate con una particolare attenzione alla complesssa società di Gaza. In questi giorni è impegnata nella preparazione del matrimonio di uno dei figli, cosa che fa con gioia e un senso di libertà conquistato dal recente divorzio. (“Non c’è stato niente da fare, lui non capiva e non cambiava”). I suoi saggi (“Islamist Women of Hamas 2005/2011” e Palestinian Women’s Activism”, 2018, (SUP) apprezzati nel mondo accademico, le hanno però procurato prevedibili critiche in quello politico. “Nel contesto della storia politica della Palestina, scrive, le donne hanno dovuto crearsi uno spazio per sé, perchè il nazionalismo palestinese era centrato sull’immagine del combattente maschio come liberatore della nazione e sulla lotta e il sacrificio come marchi del patriottismo”. Legata all’impegno femminista della prima intifada, Islah vuole che nella lotta politica “ci siano i corpi” non solo le idee; vede con soddisfazione il passaggio dall’”uso” delle donne nel movimento di liberazione come numero per ingrossare l’organizzazione”, al momento in cui “i corpi delle donne, hanno fatto opposizione alla militarizzazione della società come madri contro l’esercito”. Una conquista di questo movimento è il fatto che la custodia dei figli dei “martiri” viene ora affidata alle madri e non alla famiglia del martire. Questa sua posizone la induce a seguire con grande attenzione le vicende della società di Gaza che molti poteri esterni (e non) vogliono contrapporre a quella della West Bank tassando l’importazione dei prodotti alimentari provenienti dalla striscia. La sua passione per la concretezza della vita quotidiana sta indirizzando Islah su terreni nuovi per lei come le filiere della produzione alimentare e la posizione delle donne nelle aree rurali, temi poco frequentati dalle associazioni palestinesi “ di base”.
a cura di Gabriella Rossetti
Grazie a lettrici e lettori! Le intervistatrici vi salutano

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