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Le “mele marce” della West Bank

A damaged olive tree and graffiti in a Palestinian village.
Un ulivo danneggiato e graffiti in un villaggio palestinese. Credito: Alex Levac

Amira Hass Haaretz 19 Ottobre2021

Durante la stagione della raccolta delle olive, le sorgenti del male, della crudeltà e della arroganza israeliane zampillano nella loro forma più intensa. La sorgente di questa violenza “timorata di Dio” non distingue tra giovane e vecchio, uomo e albero, tra distruzione e sabotaggio e furto del raccolto. È la violenza vicina all’anima del suo governo. Dopotutto, la Cisgiordania è costellata di telecamere di sorveglianza, di torri di guardia e posti di osservazione delle forze di difesa israeliane, di pattuglie armate di polizia e militari. Nonostante tutto questo, le nostre forze di distruzione e sabotaggio negli uliveti tornano sempre a casa sani e salvi. Dagli stessi posti. Alle stesse proprie basi.

Nell’arco di due settimane, dal 3 al 16 ottobre, ci sono stati almeno 18 attacchi israeliani ai raccoglitori e ai loro alberi. L’elenco stilato dal gruppo per i diritti umani Yesh Din,Volontari per i Diritti Umani, è duro da leggere. Il 3 ottobre, le nostre forze hanno colpito cinque volte: hanno aggredito un contadino, abbattuto alberi, impedito ai raccoglitori di raccogliere le olive e in due occasioni hanno rubato le olive. L’11 ottobre sono stati registrati quattro casi simili di sabotaggio degli alberi e del raccolto. Tutti gli incidenti sono avvenuti vicino a insediamenti e avamposti di insediamenti noti per gli attriti con i villaggi sulle cui terre si trovano: Yitzhar, ripetutamente; Maon, Beit El, Shiloh, Ariel, Havat Gilad, Avigayil. Secondo i dati delle Nazioni Unite, dall’inizio dell’anno, individui anonimi, dei nostri, ebrei, hanno danneggiato circa 8.000 alberi di proprietà palestinese.

Diciamo che queste sono alcune “mele marce”. Adolescenti problematici. “Erbe cattive”. Drogati e emarginati. Abbiamo sentito questo ritornello da quando è diventato chiaro che si tratta di un fenomeno organizzato e calcolato – nella seconda metà degli anni ’90, prima e dopo che Ariel Sharon pretese di occupare ogni collina in Cisgiordania. Allora, come adesso: i taglialegna, i ladri e gli aggressori sono i messaggeri del sistema e dei suoi cari figli, fratelli nella santa causa di espropriare gli indigeni palestinesi di questa terra. La comunità di vicini e protettori degli assalitori non li espelle, i rabbini non li rimproverano e il silenzio dei suoi leader è consenso. I soldati li sostengono perché l’IDF ha il dovere di proteggere i cittadini/coloni ebrei. La polizia chiude le indagini (le poche che sono state aperte in primo luogo) con un’efficienza che farebbe ingelosire la polizia bianca razzista di un paese sud americano negli anni Cinquanta. I “guerrieri della tastiera” dello Stato di Tel Aviv esprimono il loro disgusto. E allora?

Questa violenza “privata” sempre crescente, vecchia di decenni, raggiunge i suoi obiettivi. Per “prevenire tensioni” con i residenti degli avamposti che spuntano come funghi velenosi intorno alle colonie borghesi, l’IDF proibisce ai palestinesi di accedere alle loro terre. Gli insediamenti stessi sono stati costruiti su terra palestinese nell’ambito della rapina ufficiale organizzata che viene chiamata, per compiacere le orecchie dei membri dell’Alta Corte di giustizia, la “Dichiarazione di terra dello Stato”, “Survey Land” o appropriazione e recinzione per esigenze di sicurezza e militari.

In questo modo, in un abile tessuto di diritto militare che disdegna il diritto internazionale insieme alla violenza delle “erbe cattive”, grandi distese della Cisgiordania sono state rese libere, o quasi, dagli arabi: Shiloh bloc, Etzion Bloc, Talmonim bloc, Ariel. Il blocco settentrionale della Valle del Giordano, Meitarim, Reihan. Latrun e Givat Ze’ev. Il blocco della zona di confine (seam zone) Adumim. Gli unici palestinesi ammessi in queste zone sono i lavoratori. Nella sua grande generosità, l’esercito dà ad alcuni contadini l’accesso alla loro terra due o tre volte l’anno, per diserbare e spruzzare pesticidi. Per arare e seminare e per raccogliere. Trovami un kibbutznik o un moshavnik israeliano che accetterebbe di lavorare la terra solo pochi giorni all’anno. Questo divieto, sostenuto dalle baionette dell’IDF e dagli ordini dell’Amministrazione Civile, è molto più violento ed efficace di qualsiasi aggressione fisica. E nonostante tutto, la violenza dei privati delle “erbe cattive”è strumentalizzata dalle autorità esattamente negli stessi luoghi in cui la violenza ufficiale non è riuscita a rimuovere completamente i palestinesi dalla loro terra. Ecco perché le autorità chiudono un occhio. Ecco perché gli sradicatori di alberi, i ladri di raccolti e gli aggressori di pastori e contadini restano al sicuro nel loro anonimato.

traduzione di Gabriella Rossetti

PalestinaCeL

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