Abbandonati dallo Stato nel mezzo di una crisi sanitaria, palestinesi di Israele si uniscono per farvi fronte
Suha Arraf, 1 Aprile 2020 +972 Magazine
Come molte comunità nel mondo i cittadini Palestinesi di Israele all’inizio non hanno preso sul serio la prima esplosione del coronavirus. Sono andati avanti con la loro vita, per lo più negando – forse a causa dello schiaffo che è stato il “trattato del secolo “ proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ora sembra un cimelio di un altro secolo. Ma, man mano che saliva il numero degli infetti in Israele i cittadini palestinesi sono entrati nel panico, soprattutto a causa della scarsità di informazioni ufficiali disponibili in arabo.
Questo tempo di crisi ha ispirato cooperazione e solidarietà tra i cittadini palestinesi che formano il 20 per cento della popolazione di Israele. Sia gli attivisti politici che cittadini qualsiasi si arruolano per combattere il virus e le sue conseguenze sulla società- promuovendo da raccolte di fondi, a sessioni terapeutiche on line, ai corsi virtuali di condivisione di diverse competenze.
Data la povertà delle infrastrutture nelle città arabe, lo High Follow Up Committee (L’alto comitato per il monitoraggio), una organizzazione ombrello che rappresenta i cittadini arabi del paese, ha istituito un comitato nazionale della sanità, arruolando medici ed esperti di alto livello per pubblicare informazioni essenziali. “Di fronte alle emergenze, la situazione delle località arabe è in condizioni disastrose”, afferma Mohammad Barakeh, capo del Comitato . “I servizi medici nei villaggi arabi sono anche peggiori che nei paesi del terzo mondo”.
Secondo Barakeh, si dovrà creare un comitato nazionale di emergenza per coordinare le informazioni e dare risposte ai municipi e ai consigli locali. “C’è molto lavoro in corso con le autorità locali su sanità e educazione perciò abbiamo deciso di unificare gli sforzi sotto una stessa organizzazione”, afferma Barakeh.
L’organizzazione gestirà una hotline per i proprietari di piccole imprese, aggiunge Barakeh, ”Ci sono imprese nella comunità araba che non saranno in grado di rimettersi in piedi e assisteremo anche ad un aumento della disoccupazione.”
I membri della Joint List, la piattaforma che unisce i partiti politici a guida palestinese in Israele, rispondono anche agli sviluppi della crisi della salute pubblica. Sono intervenuti per riportare a casa studenti palestinesi che studiano all’estero (molti dei quali studiano medicina). Inoltre, i membri MK della Joint List hanno fatto pressione sullo stato perché procuri risorse alle autorità locali palestinesi che non sono in grado di combattere il virus. Si è
unita alla lotta anche la National Union of Arab Local Authorities ( l’Unione Nazionale delle Autorità locali Arabe).

Anche il clero fa la sua parte, soprattutto dopo la decisione di chiudere le moschee e le chiese. A Gerusalemme Est le moschee accendono i loro altoparlanti ogni sera e pregano per la fine della pandemia. I preti hanno portato i culti nelle strade, dondolando i turiboli per spargere incenso, benedicendo i credenti e le loro case e pregando per la pace.
“La risposta va al di là delle nostre aspettative”
In Haifa, Bilal Alhousari, un attivista locale di Balad, la fazione nazionalista della Joint List, ha avviato una raccolta fondi per aiutare gli anziani e i bisognosi. Ben presto molti volontari si sono uniti, alcuni dei quali non sono neppure membri del partito.
“Abbiamo cominciato due settimane fa”, ricorda Alhousari. “Un membro di Balad lavora con gli anziani e ci ha detto che ci sono molti arabi anziani che non hanno nessuno che possa portare loro la spesa o assisterli. Abbiamo cominciato subito a organizzarci e presto abbiamo raggiunto una lista di 60 persone che potevano usufruire del nostro aiuto”, afferma Alhousari.“ In seguito abbiamo ricevuto una richiesta dalla scuola al Karameh, che ha molti studenti di famiglie bisognose o i cui genitori sono disoccupati. Coordinandoci con il preside abbiamo scelto 60 famiglie e abbiamo lanciato la raccolta fondi su Facebook. Abbiamo chiesto generi alimentari di base, come riso, olio e cibi in scatola piuttosto che denaro”, aggiunge.
Il gruppo ha ricevuto anche una richiesta da Beit Sahour, una cittadina palestinese a est di Betlemme sotto occupazione israeliana. Hanno consegnato due camion di cibo alla chiesa locale, racconta Alhousari.
Dal momento che la sede di Balad allestita per le elezioni di marzo era ancora disponibile e fornita di computer, ci spiega, si è riconvertito lo spazio e chiesto alla gente di inviare lì gli aiuti. Dei volontari hanno aiutato in ogni modo possibile: un gruppo faceva le liste, un altro assemblava i pacchi dono e un altro li consegnava.
“La risposta è andata oltre le aspettative,” dice, “I macellai hanno regalato la carne, i fruttivendoli le verdure e i fornai il pane”
Una delle più grandi raccolte fondi lanciate in risposta alla epidemia di coronavirus è gestita dalla agenzia meridionale del Movimento Islamico in Israele, che ha creato un comitato nazionale di emergenza che fornisce assistenza medica e legale e anche psicologica e sociale. Il Movimento ha arruolato 120 esperti per questa attività, e la loro hotline è aperta al
pubblico giornalmente dalle 8 del mattino a mezzanotte. Il Movimento ha anche consegnato 30.000 pacchi di prodotti alimentari per le famiglie bisognose durante il Ramadan, che deve cominciare a fine aprile; a questi il Comitato per Emergenza conta di aggiungerne altri 10.000.
Nella città settentrionale di Shefa-‘Amr, sono fiorite diverse iniziative di solidarietà racconta l’attivista politico Murad Haddad. Quello che era cominciato come movimento di donazioni gestito da volontari, ora è diventato un progetto del comune.
Rami Anabtawi, una infermiera residente nella città, ha avviato una clinica mobile che assiste la gente fornendo iniezioni, misurazione della temperatura e della pressione- tutto quel che può evitare un viaggio verso un ospedale, spiega Anabtawi. In quattro giorni, 100 tra medici e
infermieri si sono uniti all’impresa. Ora vogliono espandere l’attività a livello nazionale, in modo che ogni zona, aggiunge, possa avere accesso a un gruppo di esperti di questo tipo.
“Ce l’abbiamo nel sangue, quelli di noi che sono impegnati nella cura. Abbiamo bisogno di dare” dice Anabtawi. “E’ chiaro che non siamo una priorità per lo stato. E’ per questo che ci dobbiamo aiutare l’un l’altro”.
Anche l’ Associazione degli Psicologi in Israele, costituitasi nel 1999, dà una mano. “ La nostra no profit è indipendente, non è associata alla unione nazionale degli psicologi.
Abbiamo capito che non possiamo accettare di essere messi ai margini dei gruppi israeliani di psicologi e abbiamo cercato di parlare la nostra lingua”, spiega Yoad Janadri, che da due anni dirige l’organizzazione. In due giorni, 78 colleghi, compresi terapeuti e operatori sociali, hanno risposto al bando per reclutare volontari, ci dice. Nessuno di loro era stato precedentemente membro della organizzazione.
Abbiamo aperto una hotline per mettere in comunicazione i volontari con la gente”, dice Jandari, “molti di quelli che rispondono sono colleghi loro stessi impegnati, come un consulente in educazione che è emozionalmente sopraffatta dal dover prendersi cura degli studenti e, nello stesso tempo, della sua famiglia chiusa in casa in quarantena”.
“Stranamente, molte delle chiamate che riceviamo sono da famiglie i cui figli studiano all’estero”, spiega Jandari- i genitori lottano per mantenere un equilibrio tra la cura per i figli in quarantena e la crescita del rischio di esposizione al virus. “Abbiamo ricevuto anche chiamate per affrontare l’aumento di tensione nelle coppie a casa”.
La scorsa settimana, il gruppo si è messo in contatto con il High Follow Up Committee, dice Jandari. Ora, questo è l’organo ufficiale responsabile della salute mentale della società araba e l’assistenza che forniscono è parte dell’insieme di servizi offerti dal comitato di salute nazionale”.
“Non c’è cura per il razzismo”

“In un periodo di crisi, si manifesta la nostra nobiltà d’animo. Tutti ci sentiamo impotenti di fronte alla pandemia, e le donazioni e l’offerta di aiuto ci aiutano a liberarci da questosentimento d’impotenza,” spiega Jandari, “inoltre, siamo a casa e siamo più disponibili per questo”.
Il razzismo di stato è un altro fattore che ha indotto i palestinesi in Israele a unirsi, aggiunge, “Le ultime elezioni e la propaganda governativa contro di noi, ha indotto i palestinesi a unirsi e a votare la Joint List. Abbiamo capito che lo stato non si occuperà di noi e quindi dobbiamo creare le nostre istituzioni. Dobbiamo lottare per quello di cui abbiamo bisogno e confidare
prima e soprattutto in noi stessi”.
“La cosa più importante è sapere che possiamo farcela”, continua Jandari, “Abbiamo esperti professionisti di alto livello. Abbiamo le competenze, abbiamo smesso di sentirci inferiori in confronto a Israele e ci siamo resi conto che possiamo fare ancora di più”.
Haddad, l’attivista politico di Shefa.’Amr, fa eco a questo messaggio: “C’è sempre stato un senso di solidarietà nella nostra società”, dice, ricordando come le moschee e le chiese aprivano le loro porte durante la seconda intifada nel 2002 quando Israele mise sotto coprifuoco militare i territori occupati e tante persone mandavano donazioni. “ In un solo giorno, continua, abbiamo riempito sette camion con alimentari essenziali e farmaci per
150.000 shekels (NIS) per aiutare i nostri fratelli e sorelle nella West Bank.
E’stato fantastico”.
Haddad ricorda anche come durante la guerra del Libano nel 2006 quando le case palestinesi erano colpite dai razzi, la gente si organizzò immediatamente e raccolse denaro per aiutare la ricostruzione di quelle case. “Non ricordo nessun momento difficile in cui la nostra gente non
si sia mobilitata insieme “ dice Haddad. “La gente durante le crisi e nel bisogno mostra il proprio lato migliore. E’ vero che siamo diventati una società di consumatori, ma la nostra gentilezza e il nostro altruismo non sono spariti”, aggiunge.
“E tuttavia, sappiamo a chi sono destinate le risorse dello stato”. Dice Haddad. “ Queso è lo stato degli ebrei . Noi non facciamo parte del suo progetto e non siamo nella lista delle priorità. Comprendiamo che non abbiamo altro che noi stessi e la nostra comunità su cui fare
affidamento. Non abbiamo uno stato, ma non abbiamo neppure istituzioni nostre. E’ per questo che c’è sempre più solidarietà nella società araba.
“Negli spazi pubblici di Israele è diverso. Sanno che hanno un paese su cui fare affidamento.
Hanno un primo ministro che li interpella in televisione ogni giorno e parla di resilienza nazionale riferendosi alla propria gente, gli israeliani ebrei. Non si rivolge a noi. Anche durante la crisi del coronavirus, il primo ministro continua a incitare la popolazione contro la Joint List. La pandemia del coronavirus finirà per trovare una cura, ma il razzismo endemico
in Israele non ha cura”.
Per Barakeh dello High Follow –Up Committee, la approvazione della legge sullo stato nazione ebraico (Jewish Nation-State Law) ha consolidato questo concetto. “La nostra società ha subito profondi cambiamenti”, afferma “ gente che non aveva mai mostrato alcun interesse politico ha cominciato a presentarsi nelle manifestazioni di protesta, e c’è un crescente sentimento di appartenenza ad uno stesso gruppo, il desiderio di metterci insieme”.
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Oltre alle donazioni di cibo, ci sono state altre iniziative per mettere in contatto genitori e figli durante il periodo di quarantena, come il gruppo Facebook delle Attività di Famiglia di Sana’a Deeb . “Volevo creare una pagina che parlasse alla gente a livello di sguardo e che permettesse ai genitori e ai bambini di partecipare insieme”, dice Deeb, consulente
pedagogica, “tutti sono impegnati con il lavoro e le difficoltà della vita quotidiana e i genitori non hanno quasi più un tempo qualitativamente buono da passare con i figli”.
“ Credo nel gioco. Il gioco ci può insegnare molto e può mettere insieme la famiglia e stimolare la nostra creatività e immaginazione” aggiunge. In una settimana il gruppo ha
raccolto 3.000 membri, che hanno cominciato ad aiutarsi gli uni con gli altri in diversi modi,
come inviarsi consigli di lettura e di film da vedere”.
Roni Rock, la star dei bambini di Nazareth, noto nella comunità palestinese come “Uncle Roni” (Zio Roni) ha deciso di regalare un sorriso ai bambini. Ogni giorno si esibisce in spettacoli all’aperto nelle strade vuote in diversi quartieri, mentre i bambini guardano e danzano con lui dalle loro case e dai balconi.
Mari de-Pina, organizzatrice di feste che ha creato un club esclusivo per coppie e single sopra i 35 dal nome “Ayyamel –Loluou ( arabo per “Pearl Days”) ha deciso di ospitare unafesta online per far felici i membri del club in questi giorni difficili. “ Tutti sono chiusi in quarantena a casa e alcuni membri del club sono coppie con bambini . C’è bisogno di allentare la tensione, per questo ho ospitato una festa per genitori e bambini” dice.
“Dal momento che il club ha chiuso, questo è anche un modo per mantenersi in contatto “, dice, “sono stata sorpresa quando più di 200 membri del club si sono iscritti. La settimana prossima ospiterò un’altra festa. Abbiamo anche annunciato una competizione – ogni famiglia farà una foto di se stessi mentre ballano e una giuria sceglierà i vincitori. Sto cercando di
decodificare questo nuovo concetto di quarantena.”
traduzione Gabriella Rossetti https://www.972mag.com/gaza-coronavirus-israeli-solidarity/
Una versione di questo articolo è stata già pubblicata in ebraico su Local Call
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