Con questo progetto, che è parte della Campagna “Cultura è libertà”, si è scelto di sviluppare il tema del viaggio e del racconto di viaggio nella Palestina storica.
Il progetto si articola in tre sezioni ideali: la prima, che potremmo chiamare – solo per comodità di presentazione – Racconti di viaggio, dalla bibbia alle guide di viaggio palestinesi del XXI secolo, la seconda Viaggi in casa mia, la terza Viaggi solidali.
Racconti di viaggio, dalla bibbia alle guide di viaggio palestinesi del XXI secolo.
Questa prima sezione (moduli 1-2-3) affronta il tema della visione, della descrizione e della scrittura di una terra dai diversi nomi – Palestina, Israele, al Shām, Terrasanta[1]– e dell’uso che di questa scrittura si è fatto e si fa. Seguendo una prospettiva storica, si inizia con la messa a fuoco dei racconti che nei secoli hanno fatto i viaggiatori occidentali; di tali racconti si analizzano le finalità e le conseguenze, e si evidenzia come siano stati un’ottima copertura ideologica di quel processo di manipolazione e scrittura del territorio, nonché di costruzione geopolitica, che l’Occidente ha compiuto attraverso l’uso politico dei luoghi santi.
Una precisazione: il fatto che si inizi il programma con le voci dell’Occidente non risponde ad una visione eurocentrica e orientalista, ma alla necessità di aver chiaro dove e come cominciano la manipolazione e la pratica coloniale, e all’esigenza di dar conto della capacità palestinese di produrre cultura propria nonostante tutto. Questa prima sezione si conclude infatti con l’analisi dell’elaborazione delle nuove guide turistiche e delle proposte di itinerari di viaggio alternativi in cui gli eredi degli antichi cananei offrono al visitatore la loro originale rappresentazione storica e culturale della Palestina: finalmente autoctoni e viaggiatori impersonano il loro ruolo corretto, là dove, dopo tanti secoli, i primi incominciano ad offrire ai secondi la loro visione della loro terra.
Viaggi in casa mia
Nei moduli 4-5 la parola, ormai passata ai palestinesi, si riflette sul viaggio che loro stessi spesso compiono sulla loro terra, alcuni per cercare le tracce del loro passato nei luoghi espropriati da Israele, nelle case abbandonate nel 1948; altri su sentieri rurali un tempo frequentati, oggi sfigurati dai segni dell’occupazione (muri,fili spinati, posti di blocco e deviazioni forzate) e spesso inaccessibili. Il paesaggio cambia, le tracce del passato scompaiono alla vista, la natura è in molte aree stravolta, tanto che risulta difficile riconoscere i luoghi di un tempo.
Voci solidali
Il progetto si conclude con una riflessione sui nuovi viaggi della seconda metà del XX e del XXI secolo,quando, come conseguenza della nascita dello stato di Israele e della guerra dei Sei giorni, ai viaggi tradizionali si è aggiunta una nuova tipologia di viaggio, quello che potremmo genericamente definire “il viaggio di solidarietà”. Un viaggio compiuto da nuovi soggetti: il viaggiatore occidentale, l’israeliano dissidente, il palestinese che accoglie. Un viaggio con nuovi obiettivi, di pratica solidale, di conoscenza, di scoperta, di militanza e di condivisione. Un viaggio con carattere di reciprocità e scambio.Un viaggio che si avvale, non dimentichiamolo, delle modalità innovative che la tecnologia offre: si pensi alle testimonianze affidate alla rete e per tutte a quella di Vittorio Arrigoni durante l’operazione “Piombo fuso”.
Evento finale. Il progetto si concluderà con un momento di festa e conviviale i cui dettagli saranno comunicati entro breve.
[1] I nomi con cui la terra che va dal Giordano al Mediterraneo viene definita variano a seconda di chi li usa e a seconda degli obiettivi cultural-politici che ci si propone. Sin dal tempo dell’esilio in Babilonia gli ebrei, il cui monoteismo si definiva proprio in quel periodo, incominciarono a presentare se stessi come“figli di Israele” (S. Sand), e spesso questa espressione viene ripresa dai viaggiatori occidentali medievali (es. P. Casola). I romani introdussero il termine di Syria Palaestina, un termine che l’occidente ha continuato ad utilizzare, da Paolo di Tarso a Santa Paola, da Egeria a Pierre Loti. Ad esso si è affiancato il termine Terrasanta, usato soprattutto dai pellegrini e poi,molto intensamente, dagli occidentali che miravano alla colonizzazione della regione attraverso l’uso politico dei luoghi santi. Al Shām (Siria) è invece il termine usato fino alla caduta dell’impero ottomano dagli arabi per definire la regione che ha come centro Damasco e si estende dalla Siria al Mediterraneo,includendo anche l’attuale Libano (es. Ibn Battuta). Oggi si usa il termine Filasṭīn, Palestina. Il viaggiatore ebreo Benjamin de Tudela, a Gerusalemme nella seconda metà del XII secolo, a sua volta parlò della regione come di Palestina.
Per parte nostra, si è scelto di usare il temine Terrasanta solo nel primo e secondo modulo, perché è stato quello prediletto dai pellegrini prima e dai colonizzatori poi. Negli altri moduli abbiamo usato il termine Palestina per indicare la Cisgiordania e la striscia di Gaza, e Israele per indicare lo stato di Israele dopo il 1948.
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