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Dalle lezioni di violino alla cella di una prigione: l’arresto di un bambino palestinese da parte di Israele

Foto: La campagna per liberare Athal al-Azzeh, pubblicata dall’Aida Youth Center. 
(Instagram)

DI YUMNA PATEL

La scorsa settimana un gruppo di ragazzi palestinesi si è fermato fuori dal loro centro giovanile locale nel campo profughi di Aida, sullo sfondo del muro di separazione israeliano e di una base militare permanente nel campo, e hanno suonato una canzone sui loro violini. 

La canzone è stata dedicata al loro amico e compagno di classe, il quattordicenne Athal al-Azzeh. Era una canzone per la libertà. 

I COMPAGNI DI CLASSE E GLI ALTRI VIOLINISTI DI ATHAL AL-AZZEH TENGONO UNA MANIFESTAZIONE PER CHIEDERNE IL RILASCIO. (FOTO PER GENTILE CONCESSIONE DEL CENTRO GIOVANILE AIDA)

Athal è stato arrestato dall’esercito israeliano a metà aprile mentre stava camminando verso casa di sua nonna. 

Ha detto di essere stato preso in un’imboscata da un gruppo di soldati che sono saltati fuori da una jeep militare, lo hanno arrestato in modo aggressivo e lo hanno gettato a terra nella base militare vicino al campo di Aida, dove lo hanno preso a calci e picchiato. 

Per quasi due settimane Athal è stato interrogato quotidianamente, durante gli interrogatori israeliani i funzionari della sicurezza hanno tentato di costringerlo a confessare. Lo hanno accusato di lanciare sassi e bruciare pneumatici, un reato che ha portato innumerevoli bambini palestinesi nella prigione israeliana. 

Dopo 12 giorni di interrogatorio senza la presenza di un avvocato o dei suoi genitori, Athal è stato rilasciato su cauzione. Ha un’altra sessione in tribunale alla fine di questo mese, durante la quale potrebbe essere condannato a una pena detentiva. 

Nel bel mezzo della sua prigionia, mentre sedeva chiedendosi cosa stessero facendo i suoi amici e la sua famiglia, e se avesse mai suonato di nuovo il suo violino, i funzionari israeliani di Hasbara stavano tentando di giustificare il suo arresto a milioni di persone nel mondo. 

Apparentemente, secondo Israele, un ragazzino palestinese che lancia pietre e brucia pneumatici contro un esercito – che sta occupando illegalmente la sua città natale – lo rende antisemita e “violento contro gli ebrei”.  

Mentre la storia di Athal che sale sulla scena globale non è qualcosa che accade tutti i giorni, la storia di Athal in sé non è unica. 

Ogni anno, centinaia di bambini palestinesi vengono arrestati dall’esercito israeliano e imprigionati dai tribunali militari israeliani che vantano un tasso di condanne superiore al 99%. L’accusa più comune mossa contro i bambini palestinesi è il lancio di pietre. 

È sbagliato dire che Athal, che è stato arrestato, picchiato e interrogato da uno degli apparati di sicurezza più forti e ben finanziati al mondo, sia stato uno dei fortunati.  

Attualmente, ci sono 160 bambini prigionieri nella prigione israeliana. Molti di loro hanno trascorso mesi, persino anni in prigione, perdendo la scuola, il gioco con i loro amici e il crescere tra le braccia amorevoli dei loro familiari. 

Negli anni in cui ho vissuto e lavorato in Palestina, ho parlato con innumerevoli bambini detenuti che sono stati costretti ad abbandonare gli studi dopo aver saltato troppa scuola durante la prigionia. Altri non si riprendono mai dagli abusi e dai maltrattamenti che devono affrontare. 

In un’intervista con Middle East Eye, Athal ha detto che quando è stato portato al centro di detenzione dopo il suo arresto, “stava solo pensando a tutte le cose che mi sarei perso. Ho pensato alla mia famiglia e al fatto che non sanno dove sono”.

“Ho pensato alla mia scuola, ai miei amici e alle mie lezioni di musica. Mi sentivo come se i miei sogni stessero finendo”.

Vedere Athal libero e di nuovo tra le braccia della sua famiglia e dei suoi amici provoca sia sentimenti di sollievo che tristezza. Sollievo per il fatto che per ora un bambino palestinese in meno sia stato mandato a languire all’interno della prigione israeliana e tristezza per tutti gli altri che hanno perso la loro infanzia a causa di una detenzione arbitraria.

La sua storia mi ricorda quella di un ragazzo, anche lui del campo di Aida e attivo partecipante al centro giovanile, che passavo spesso per strada mentre tornavo a casa.

Una sera, le forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo e lo hanno arrestato. Aveva 15 anni all’epoca. Passarono quasi due anni e lo stesso ragazzo sorridente che stava sui gradini del centro non si trovava da nessuna parte. La sua famiglia e i suoi amici sono rimasti per anni in attesa del suo ritorno.

Qualche settimana fa stavo tornando a casa e ho incontrato un giovane per strada. Mi salutò, con un sorriso familiare, e ho avuto una doppia sorpresa. Era lo stesso ragazzo, ma ora era molto più alto e grosso di prima, con un po’ più di peli sul viso e qualche macchia che non c’erano l’ultima volta che l’ho visto.

Aveva la stessa faccia gentile e sorridente, ma non era più quel ragazzino che giocava con i suoi amici dopo la scuola. Per quanto riguardava la società, ora era un giovane.

Ancora un altro giovane palestinese che aveva perso la sua infanzia a causa del sistema di “giustizia” di Israele.

traduzione a cura della redazione

PalestinaCeL

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